A volte ritornano | Intervista a Matteo Pioppi

12 aprile 2016

A volte ritornano | Intervista a Matteo Pioppi

La sede della casa editrice Bébert si trova a Bologna proprio nel mio quartiere, la Bolognina, in Via di Saliceto tra il civico 23 ed il civico 29. Mentre mi dirigo verso il luogo dell’incontro in sella alla mia Graziella alle 10:30 di un tranquillo sabato mattina, noto che in effetti non ho un numero civico definito, bensì un un campanello a cui suonare posto nell’intervallo tra due numeri. Continuo pensierosa a pedalare, convinta che data la mia proverbiale distrazione, impiegherò almeno mezz’ora nella sua ricerca e, presa dalla preoccupazione di giungere in ritardo, accelero.

L’impresa si rivela assai più semplice di come l’avevo immaginata.

“C'è un cancello automatico con un campanello con su scritto Bébert Edizioni, Andrea Bruno, Guido Volpi, Gusto Nudo” mi aveva scritto Matteo nella mail, ed infatti grazie alla sue chiare indicazioni, suono subito il campanello giusto e la puntualità è rispettata.

“Scusa il disordine, ma ci siamo trasferiti da poco. Oggi dovrei fare dei lavori con il trapano perché quell’armadio lì proprio non mi piace. Ma non ho il trapano.”

“Ah, se vuoi te lo presto io!” “No, ma ce l’ho. E’ solo che dovrei andare a casa a prenderlo e non ne ho voglia, ma quel mobile è davvero brutto”.

Non posso fare altro che concordare e accomodandoci sulle poltrone della sala comune cominciamo la nostra chiacchierata.

 

Com’è nato il progetto de "Il Sole Contro"? Da quale necessità?

Diciamo che il progetto è nato da una mia esigenza familiare: mio nonno è stato partigiano durante la guerra, politicamente attivo, ed il 7 luglio 1960 si trovava in piazza a Reggio Emilia a manifestare ed ha assistito a tutto l’accaduto. Da un po’ di tempo volevo raccontare i fatti di quella giornata attraverso gli occhi di coloro che li avevano vissuti, da un punto di vista più dal basso, meno istituzionale, e quando ho incontrato Giuliano Bugani, regista del documentario, è stato possibile concretizzare la mia idea.

 

 

Dici meno istituzionale perché era già stato prodotto qualcosa prima?

Sì, c’era qualcosa prodotto dalla CGIL ma non mi era piaciuto molto. Volevo fare qualcosa di diverso.

 

Ho letto una vostra intervista in cui affermavate di aver dovuto stoppare il progetto per 6 mesi per mancanza di fondi e la svolta c’è stata con il crowdfunding. Come mai avete scelto BeCrowdy che era una piattaforma al tempo molto giovane?

Sì, è vero. La svolta è arrivata con il crowdfunding. Un ragazzo dell’ARCI di Reggio Emilia mi ha dato il contatto di Matteo di BeCrowdy e siccome ci siamo trovati subito benissimo e mi è piaciuto moltissimo il loro modo di lavorare, abbiamo deciso di fare la nostra raccolta fondi lì.

Matteo è stato veramente presente durante la nostra campagna, aiutandoci anche di più rispetto a quello che gli competeva. E’ stato fondamentale.

All’inizio temevo che data la rivalità storica tra Parma e Reggio Emilia, molti non ci avrebbero finanziato solo perché BeCrowdy di origine parmense, ma per fortuna sono stato smentito, anche perché la maggior parte non ci ha neanche fatto caso.

 

Prima mi hai accennato al sindacato ed al PD come interessati al progetto. Quindi loro vi hanno sostenuto?

Mah, non proprio. Purtroppo il crowdfunding in Italia viene visto ancora come elemosina. Pensa che una volta sono stato chiamato da Franchi, uno dei testimoni dei fatti successi in piazza intervistato per il documentario, perché gli avevano riferito che noi stavamo chiedendo soldi in giro e questo gli aveva fatto storcere il naso. C’ho messo un po’ per spiegargli che non era proprio così ma quando le persone non hanno i mezzi per capire quello che succede, fai fatica a spiegarti.

 

 

Cosa intendi?

Se il sindacato non ha dato il suo via per l’iniziativa, le persone che gli gravitano intorno, lavoratori e pensionati, non partecipano e non si fidano. Abbiamo incontrato molto ostruzionismo.

 

Quindi avete avuto un pubblico diverso rispetto a quello che vi aspettavate?

Il nostro documentario nasce innanzitutto dal rispetto della storia e l’obiettivo principale era quello di far luce su una faccenda dai tratti oscuri, rivolgendoci soprattutto a coloro che avevano assistito ai fatti. In realtà invece, il nostro pubblico si è creato sullo scarto, costituito da quanti si erano distaccati dal sindacato dal PD e dall’ex PC, e ci hanno sostenuto lo stesso nonostante CGIL e partiti non l’avessero fatto. Il nostro pubblico è formato dai diversamente anziani e dai giovani.

 

Dove avete pubblicizzato il progetto?

Dovunque. Siamo stati presenti con un banchetto ad ogni festa di paese, nei circoli e nei centri sociali.

 

Cosa avete sbagliato durante la campagna di crowdfunding e cosa invece avete fatto alla perfezione?

Tra gli errori menziono il fatto che avremmo potuto produrre più materiale multimediale: magari più video anche di alcuni secondi, più vari sponsorizzando di più le iniziative, non solo su facebook.

Il nostro punto forte è stato instaurare un rapporto diretto con le persone, essendo presenti appunto ad ogni festa di paese della regione, agendo molto sul territorio.

 

Che consiglio daresti a chi si approccia per la prima volta ad una campagna di crowdfunding?

Di non sottovalutarlo perché il crowdfunding diventa un lavoro. Anzi, per due mesi è il tuo lavoro e devi dedicargli tutto il tempo che hai a disposizione per ottenere buoni risultati.

 

Il 2015 è stato fitto di eventi. Sarà così anche il 2016?

Sì, continueremo a presentarlo finché non ci dicono basta!

 

 

La nostra chiacchierata fuoriesce dai confini dell’intervista e prende i sentieri dell’esperienza bolognese, della politica, dei centri sociali, degli impegni personali, della difficoltà nel presentare un libro nel sud Italia, della cultura popolare, dell’emigrazione.

Mi consiglia due libri da leggere e rimando la prossima visita al giorno dell’inaugurazione della sede di Bébert.

Questo sabato mattina mi ha arricchito molto di più di quanto avessi previsto.

 

Anna Chiara Orlando