La fragilità del sistema culturale

6 agosto 2017

La fragilità del sistema culturale

Forse non tutti sapete che l’Associazione On/Off, che gestisce il progetto Officine On/Off di Parma, all’interno del quale BeCrowdy ha mosso i suoi primi passi, è tra le realtà vincitrici del bando Funder35, rivolto alle organizzazioni culturali senza scopo di lucro (imprese sociali, cooperative sociali, associazioni culturali, fondazioni, ecc), composte in prevalenza da under 35 e impegnate principalmente nell’ambito della produzione artistica/creativa.

Che me ne fotte a me guagliò!” (cit.), direte voi. Calma, pian piano arrivo al punto: è agosto e devo scrivere almeno 1800 battute perché il mio articolo possa essere considerato tale.

Si da il caso quindi, che per i vincitori del bando Funder, Fondazione Cariplo insieme a Fondazione Fitzcarraldo, organizzino privé intellettuali, momenti esclusivi, seminari, workshop teorico-pratici, worldcafé, laboratori manuali cut & paste e aperitivi a buffet negli angoli del meridione più inusuali (Taranto, Matera, etc.).

Per facilitare le connessioni, conoscersi tra di noi, conoscere noi stessi e misurare noi e il nostro know-how all’interno del sistema culturale. Il famigerato, osannato e inarrivabile “sistema culturale”.

Proprio a Taranto, patria di prelibate cozze, i lavori del seminario residenziale a cui abbiamo avuto il piacere e l’onore di partecipare (come On/Off, ma perché no, alla fine, anche come BeCrowdy) sono stati inaugurati dall’intervento di Alessandro Bollo, fondatore promotore della Fondazione Fitzcarraldo e da qualche mese nominato direttore del nuovo Polo del '900 di Torino.

In questo discorso di apertura, che cercherò di riassumere, ritrasmettere e reinterpretare al meglio, sono volate pallonate e tazzine di ceramica antica sono andate letteralmente in frantumi.

Ma che stai a di'? (cit.) direte voi.

Sto a dì, sto a dì. La tazzina di ceramica finita in pezzi non è altro che la nostra cara e rimpianta cultura, colpita e “fragilizzata”, a dire di Bollo, dalla tanto osannata e inflazionata innovazione (culturale) che spara a zero e non recupera i cocci.

Nel senso più base del discorso: siamo noi stessi a renderla fragile e poco competitiva in partenza, considerandola in primis come una spesa a perdere nel “tempo liberato”, il cosiddetto “loisir”. Ma la cultura non è quella cosa di cui devi per forza godere nel tempo libero. L’esperienza culturale è continuativa, latente, in moto: si offre al pubblico ibridando linguaggi, decostruendo tempo, luogo e liturgie, prendendosi cura delle cose, rivendicando la storia e la memoria per re-interpretare il presente.

La cultura non dovrebbe essere fragile, non dovrebbe essere colpita: dovrebbe essere il pallone da calcio. È il sistema (culturale) ad avere l’obbligo e la necessità di creare un ecosistema che le permetta di non stare più nella credenza: il rischio è quello di essere colpiti o ancora peggio di riempirsi di polvere.

Come rimettiamo insieme i cocci?

La parola chiave ugualmente inflazionata è: sostenibilità. La nostra amata e inossidabile Treccani la definisce: “Nelle scienze ambientali ed economiche, condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri.”.  Che la sostenibilità non deve essere il fine, ma il mezzo. Non ha senso dare nuova sostenibilità a un sistema vecchio sganciato dal contesto sociale. 

Il crowdfunding culturale, insieme alla comunicazione e allo storytelling, si inseriscono proprio in questa faglia di ri-significazione. La sfida, la valorizzazione dei propri utenti e il sapere raccontarsi e trasmettere il valore e l’impatto produttivo generati dalla propria azione culturale, al giorno d’oggi sono strumenti imprescindibili, ingranaggi fondamentali per la costruzione di un nuovo sistema ancorato alla realtà odierna.

Prendiamoci per mano e facciamoci ad alta voce e tutti insieme questa semplice domanda.

Perché stiamo facendo cultura oggi?

Abbiamo bisogno di progettare fuori dai canoni, di non avere paura di dare un valore strumentale all’azione culturale, senza bypassare quello intrinseco. In gergo: non abbiate paura di valorizzare il vostro lavoro in termini economici e di scambio.

La cinquina della grammatica culturale per Bollo?

  1. Progettare caldo
  2. Ascoltare e leggere il contesto
  3. Attenzione ai segnali deboli
  4. Creare connessioni
  5. Costruire alleanze

La progettazione culturale in 5 step, per ridisegnare le esperienze, stimolare il coinvolgimento ed essere finalmente capaci di interconnettere e misurarsi.

Grazie per l’attenzione e buona estate.

 


Rossella Lombardozzi


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