Il progetto

Il saggio "Le stelle non stanno a guardare. I divi, l'umanitarismo e l'uso politico della celebrità", di prossima pubblicazione, si occupa delle intricate relazioni sorte tra la sfera politica e il mondo dello spettacolo.
Al centro della ricerca – che registra una progressiva “desacralizzazione” della figura del divo e l’impoverimento delle mitologie ad essa collegate, anche a causa della televisione e dei social media – viene avanzata l’ipotesi secondo cui le star abbiano riconquistato parte del prestigio perduto proprio mediante una rigenerazione narrativa giocatasi sul palcoscenico della politica.
Il testo si articola due sezioni. Nella Parte Prima sono illustrate le tappe attraverso cui si sarebbe compiuto questo processo: se negli anni Venti del ‘900 star come Rodolfo Valentino o Greta Garbo erano idoli marmorei più vicini agli dei che ai mortali, il cinema sonoro degli anni seguenti e l’avvento di film dai contenuti più fedeli alla realtà finirono per erodere tale immagine (capitolo I). Tra spettatore e divo si sviluppò pertanto un processo di proiezione-identificazione attraverso il quale, come già a metà degli anni Cinquanta affermava Edgar Morin, lo spettatore attribuiva al divo qualcosa di sé, e allo stesso tempo faceva proprie alcune delle caratteristiche che avvertiva nel divo: ciò è ben visibile nei casi di Marilyn Monroe, James Dean, Elvis Presley e Marlon Brando (capitolo II). Una relazione, però, che si è ritrovata svuotata di ogni tensione ideale con l’affermazione del mezzo televisivo: il piccolo schermo, infatti, non proponeva più un eroe o un modello a cui tendere, ma figure che riflettevano la condizione di normalità – se non di mediocrità – dello spettatore. A radicalizzare questa tendenza è poi intervenuto il web, che ha trasformato ogni utente della Rete in produttore di contenuti sociali e in potenziale autore di un proprio storytelling: un tema approfonditamente esplorato da Christian Salmon, del quale vengono qui sviluppate le suggestive riflessioni che lo hanno visto elevare la top model Kate Moss a simbolo del mutamento permanente d’identità preteso dall’ideologia neoliberale trionfante (capitolo III).



Oggetto della Parte Seconda è l’umanitarismo delle celebrità, da intendersi proprio come operazione di storytelling: indipendentemente dalla bontà delle intenzioni delle singole star, infatti, a nessuna di esse è concesso muoversi al di fuori di una condizione strutturale di disuguaglianza – ai danni, in primo luogo, dei Paesi in via di sviluppo – che alla fine vanifica gli effetti di ogni aiuto umanitario. Ciò che cambia davvero è invece l’immagine della celebrità, che si ritrova mediatrice tra l’opinione pubblica e le élite, apparendo via via più prossima a queste ultime. Non che la celebrity advocacy sia stata sempre la stessa: se ne può ritracciare una prima versione nell’impegno strettamente vincolato alle Nazioni Unite di Danny Kaye e di Audrey Hepburn (capitolo IV), contestuale a grandi eventi benefici globali come il Live Aid di Bob Geldof (capitolo V), ma ancora lontano da quella che Andrew F. Cooper (2008) avrebbe definito «Bonoization of Diplomacy» (capitolo VI). Era inevitabile, così, che Bono ricevesse una particolare attenzione: si è cercato di ripercorrerne l’intera traiettoria con occhio critico e di decifrarne il linguaggio, anche nell’intento di depurare il dibattito legittimamente sorto attorno alla sua attività da attacchi ingiustificati e fuorvianti. Pur non avendo confronti, del resto, l’attivismo di Bono si inserisce in un contesto nel quale la moltiplicazione degli sforzi da parte delle celebrità nella più svariate battaglie civili dimostra come sia l’intero star system a voler impartire un nuovo corso allo scenario globale (capitolo VII).
La pubblicazione del libro, a cura della casa editrice Infinito Edizioni, è prevista per il prossimo novembre: il presente crowdfunding consentirebbe di sostenerne buona parte delle spese.



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